Danza macabra di Strindberg è un testo illustre, interpretato da sempre dalla critica come un exemplum della vita coniugale vissuta quale inferno domestico, in cui si confrontano e si scontrano, da un lato, la natura satanica della moglie, Alice, e, dall’altro lato, il carattere vampiresco del marito, il Capitano, che cerca di succhiare la vita del secondo uomo, Kurt, psicologicamente fragile e remissivo.
In realtà si tratta di un’interpretazione di maniera, depistata dalla forte sensibilità misogina dell’autore svedese. Una lettura più attenta del dramma consente invece di prendere atto che, più semplicemente, siamo di fronte all’inferno domestico di una coppia per niente infernale. La vicenda inizia e finisce su toni e timbri di misurata cordialità coniugale. È solo con l’arrivo del terzo, di Kurt, che cominciano le tensioni. Il Capitano e Alice sono come una coppia di attori, tranquilli quando non c’è pubblico, e subito eccitati dalla presenza di uno spettatore. L’arrivo di Kurt è l’occasione perché entrambi i coniugi si animino e si esibiscano, calandosi ciascuno di essi nel proprio personaggio: il vampiro per il Capitano, e la femmina diabolica per Alice, che seduce il timido Kurt. La fuga finale di Kurt riporta la coppia al punto di partenza, alla calma routine esistenziale.
Per Ronconi siamo cioè di fronte alla rappresentazione di una storia infernale ma risibile, che fa pensare curiosamente al vaudeville di Courteline, Les Boulingrin, andato in scena nel 1898, pochi anni prima della stesura di Danza macabra (1900), in cui i coniugi Boulingrin si scatenano all’arrivo di un ospite in visita, su cui proiettano farsescamente le tensioni della coppia borghese. [Roberto Alonge]